44 – L’anno che divenni palindromo
Oggi ho compiuto 44 anni e sono le 23:06 del giorno del mio compleanno. Se fossi Cenerentola avrei tempo fino a mezzanotte per completare queste righe, ma le favole non esistono, quindi potrei anche sforare un po’.
O non raccontare nemmeno una favola oppure neanche parlare di me e della visione che ho della mia vita a 44 anni. Perché non ne ho una ben precisa, quindi mi affiderò alla più potente forza che l’uomo abbia mai creato. Al più sublime linguaggio: alla musica.
C’è per esempio quella canzone di Frank Sinatra che dice “When I was thirty-five, it was a very good year”. Si chiama appunto “It was a very good year” e descrive la sua vita attraverso età significative. Di ogni anno trova qualcosa di buono finché giunge all’età matura, e la pensa come un buon vino d’annata. Non so se sono già un buon vino d’annata né tanto meno se sono buono in senso assoluto. So che di quella canzone mi piace la sospensione finale. Non si sa bene cosa siamo. Siamo dei vini forse, ma il senso della vita – forse – è invecchiare. Migliorandosi magari, possibilmente. Sì, ne sono certo ma il come farlo è un discorso diverso. Il vino matura accentuando il suo carattere e raffinandosi in botte. Quindi nella raffinazione perde certi tratti che non gli sono propri e ne perfeziona altri. Li rende più chiari ed evidenti. Manifesta la sua struttura.
Forse invecchiare è trovare una propria forma più pura, più semplice. Come se per farlo bene dovessimo dimenticarci di tutto quello che abbiamo imparato a essere, che poi spesso è come gli altri – la famiglia, la società – volevano che fossimo. Invecchiare è imparare ad ascoltarsi. Reimparare proprio, perché abbiamo scordato come si faceva lungo il cammino.
Ecco perché penso che per parlare dei miei 44 anni – che non son poi tanti o forse son tantissimi e poi sono pure un numero palindromo – dovrei parlare dell’alleggerirsi.
Penso che togliersi cose di dosso sia un buon modo di procedere lungo questa strada. Non accumulare. Portarsi appresso solo ciò che ti viene in mente, non pensare che ammassare sia così importante (cosa che – ahimè – mi riesce benissimo con i soldi).
Per esempio: faccio bagagli sempre più leggeri quando viaggio. Benedico che con un cellulare e poco altro si faccia quasi tutto ormai. Forse ci stiamo trasformando in nomadi ed è un bene, perché i nomadi si muovono, si adattano, cambiano e viaggiano leggeri. Si diventa vini d’annata viaggiando leggeri e lasciando alle spalle ciò che non serve. Andando verso il centro di sé stessi che è fatto di poche cose, alla fine.
Quindi non caricherò di molto altro questo mio scritto, altrimenti mi contraddirei.
Aggiungerò solo che viaggiando si incontrano nuove città e quella più splendente che ho incontrato – anche grazie ai suggerimenti di amici che me la indicavano da tempo dicendomi «Fermati là, vedrai che ne resterai incantato» – si chiama Frank Zappa. Non è una città ma c’entra con la musica, quindi sono ancora in tema.
Assieme alla musica che ascolto sempre in quantità pantagrueliche, quest’anno ho ascoltato tantissimo Frank Zappa. Che c’è da decenni poi, solo che l’avevo sempre colpevolmente ignorato. Perché ci sono i pilastri della musica che amiamo e ascoltiamo e poi c’è lui, che sorride sornione dal suo cantuccio. Non ti sfida nemmeno ma sai che è complesso e difficile. Uno che non ascolti precisamente: devi studiarlo. Lo guardi con timore perché non lo puoi semplicemente sentire come una canzone pur composta a modo ed elegante.
Frank Zappa devi ascoltarlo. Il che significa che non devi fare altro quando lo ascolti.
Ascolto pochissima altra musica così. Forse Bach, forse certo jazz, forse il mio amato Beethoven o Mozart. Fermarsi e fare solo quello: ascoltare.
Che poi, a ben vedere, è un bel precetto da far proprio oltre una certa età: “Prima di parlar, tasi” era la prima regola degli ambasciatori veneziani e significava “Ascolta quello che dice l’altro e studia la risposta”.
Ascoltare è un buon verbo da coniugare, assieme ad alleggerirsi.
Zappa mi è caro anche per altri motivi: era creativamente sfuggente, non potevi (e non puoi tutt’ora) dire che musica facesse. Non lo ficcavi dentro nessun genere perché come un’anguilla lui sfuggiva. Ma non scriverò altro di Zappa, perché queste parole sono per me nel giorno del mio compleanno. O per chi ha la mia età o chi ne ha meno e vuole sapere l’effetto che fa.
Dirò solo un’altra cosa di Zappa: dirò che la sua vita e la sua arte sono state un monumento alla creatività e alla voglia di sperimentare qualsiasi cosa. Forse perché conservò sempre gli occhi di un bambino che sapeva vedere connessioni e strutture nelle cose che il pensiero adulto non ti fa più vedere. Che lo fecero essere non solo il più importante musicista del secolo scorso ma anche una figura pubblica monumentale nell’impegno civile e morale. “Morale”: curioso dirlo per un uomo spesso accusato di offendere la morale pubblica. Invece penso che lo fosse e penso che dovrebbero farlo studiare nelle scuole. Penso che lo amerebbero tutti gli studenti: i più bravi per la sua perizia maniacale nel comporre e suonare, i più ribelli perché lui era un conservatore capace di dire le parole più belle e alte sulla libertà di espressione.
Alleggerirsi, ascoltare, tornare a capo.
Per tornare a capo non intendo ricominciare da capo. Intendo che liberandosi del superfluo torniamo a noi stessi, all’inizio. Magari a guardare e guardarci con quegli occhi che avevamo da bambini, ma con un po’ di saggezza dell’età adulta.
Penso che sia abbastanza per oggi e per quest’anno. Il prossimo dovrei essere ancora più sintetico, forse arrivando poco alla volta a scrivere poche parole, sempre meno, fino ad arrivare a scrivere solo “Io”. Anzi, dimenticando pure di scrivere quello, perché non ce ne sarà più bisogno.
Buon compleanno a tutti.