Generazioni

Martino Pietropoli

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Parlando di tempo, la generazione — cioè quell’insieme di individui nati nello stesso periodo e che condividono lo stesso contesto sociale e storico — dura 20/25 anni. Almeno dal punto di vista biologico, questo è il lasso di tempo durante il quale i genitori generano i figli, per quanto variabile e impreciso possa essere quel numero.

20 o 25? E poi conta anche il dove, no? Chi è nato nel 2010 in Italia non ha niente o pochissimo in comune con chi è nato nello stesso periodo in Pakistan.

È altrettanto vero però che, per come sono strutturate le società contemporanee e anche per come lo erano quelle storiche, gli individui che vivono in comunità condividono esperienze, formazione, contesti sociali, in modo da farli appartenere a gruppi omogenei. La generazione è insomma un lasso di tempo durante il quale si formano individui che conducono vite più o meno simili. Frequentano le stesse scuole, vedono la stessa tv, leggono gli stessi libri e ascoltano la stessa musica. Costruiscono una memoria comune.

La generazione ha sia un connotato oggettivo (la sua durata) che uno antropologico.

Parlando di gruppi di persone è inevitabile generalizzare e dire che la generazione che ora è adulta (i venti-venticinquenni) ha tratti diversi da quelle che l’han preceduta. La mia (la penultima) ha ereditato un modello economico e sociale n0n avendo i mezzi per sostenerlo: in percentuale meno (rispetto ai genitori) si sono comprati casa o hanno una carriera professionale che gli ha permesso la stessa stabilità economica.

Per molti versi abbiamo vissuto all’ombra della frustrazione di non aver potuto non solo ambire a migliorare il modello ereditato ma nemmeno a eguagliarlo. Giusto o sbagliato che fosse.

Nell’attuale generazione, dicevo, colgo un atteggiamento più saggio, non so se ispirato dalla disperazione o da un raffinato calcolo: il modello ereditato non gli interessa nemmeno, anche perché hanno visto cosa ha prodotto, cioè ben poca felicità e insostenibilità economica, sociale e ambientale.

Non ricordo dove ho letto che la nuova generazione cerca esperienze e non possesso. Un sano realismo le ha fatto capire che ambire al possesso era inutile o stupido e la saggezza filosofica ha illuminato l’importanza dell’esperire l’attimo presente come tale e non come fondazione di un futuro che, si è visto sempre più spesso, non si realizza mai o quasi nella forma prevista.

Prima di trattare con sufficienza — cosa sempre sbagliata, in ogni caso — le nuove generazioni perché sono diverse dalle precedenti, bisognerebbe valutare perché lo sono e se il loro modello è migliore o meno di quello passato.

Chi ha 25 anni oggi — sempre generalizzando, s’intende — non ha un’auto propria né gli interessa averla, non ha nemmeno la patente, vive in affitto, privilegia il viaggio alla vita stanziale ma nonostante ciò non è lontano dalle proprie radici. Alla fine tutti abbiamo bisogno di un centro e l’allontanarsene non significa negarne l’importanza.

Soprattutto, per forza di cose o per saggezza, questa nuova generazione sta scegliendo di essere diversa. E io la trovo una cosa molto bella.

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Martino Pietropoli

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com