Ho chiesto all’IA cosa voleva che le disegnassi

Invece di chiederle di farlo per me l’ho fatto io per lei. Come è andata?

Martino Pietropoli
6 min readFeb 3, 2023

Premessa grammaticale: mi riferisco a “Intelligenza Artificiale” con il pronome femminile e a ChatGPT con quello maschile. Non perché l’abbia deciso io ma perché esso stesso parla di sé al maschile. Fine della premessa.

Ispirato da un articolo di Chaz Hutton che ha raccontato di come si è fatto suggerire da ChatGPT delle vignette da disegnare, ho deciso di spostare il limite dell’esperimento un po’ più in là: ho chiesto a ChatGPT cosa voleva che disegnassi, in senso molto più lato poiché gli unici vincoli erano — almeno inizialmente — che poteva chiedermi arte astratta o figurativa.

Ho insomma pensato che potesse essere interessante invertire i ruoli: lui (o lei?) nel ruolo dell’umano e io in quello della macchina.

Le prime due richieste erano molto generiche:

Questo è il risultato.

Ho cercato di seguire — di interpretare, dovrei meglio dire — le sue indicazioni. Non so se ci sono riuscito. Quello che da umano dotato di un senso estetico mi sento di dire è che non sono contento del risultato. Responsabilità mia, ci mancherebbe.

La seconda richiesta riguardava invece un disegno figurativo. Non la allego perché poi per mancanza di tempo e voglia non le ho dato seguito.

Cambio un po’

Constatato che una richiesta del genere non portava molto distante e confermato che ChatGPT non pensa autonomamente e se sembra che lo faccia è perché rumina cose già trite che assomigliano a un pensiero autonomo, ho circoscritto un po’ le condizioni, chiedendogli di suggerirmi quadri astratti ma “alla maniera di”. Ho scelto Klee, Tinguely, Cy Twombly, Tancredi Parmiggiani, Motherwell e Capogrossi.

La richiesta — di cui non ho salvato il dialogo — si basava sulla formula che poi ho ripetuto per ogni altro, cioè: “Dimmi a cosa pensi in termini astratti e io te lo disegnerò alla maniera di [inserire artista]”.

Già dalla sua risposta si intuiva la modalità che poi avrebbe usato per tutte le altre, che descriverei come “quello che direbbe uno studente quando non sa niente e allora inanella parole a caso”, oppure come “stile da oroscopo”. Intendo insomma quelle formulazioni fumose in cui i gruppi di parole hanno un senso se isolati ma restano piuttosto vaghe e per niente aderenti alla richiesta. Quei discorsi che non significano niente e che possono essere interpretati in mille modi, esattamente come uno interpreta la genericità di un oroscopo pensando che parli proprio a lui.

Il risultato è una copia/variazione di “Castello e sole” di Paul Klee. Mi son divertito a farlo e mi ha permesso di intuire qualcosa che mi avrebbe aiutato nelle successive opere suggerite.

Martino Pietropoli x Paul Klee

In particolare:

  • ChatGPT ha occhi solo per leggere. Da quanto posso intuire del suo funzionamento (non parlo di DALL·E 2 che deve sapere come “guardare” il materiale su cui si addestra, anche se è evidente che lo fa in modalità binaria) non ha idea di come siano effettivamente i quadri che compongono il corpus di un artista. Però sa leggere le descrizioni che trova in giro, il che non gli permette di essere particolarmente specifico nella descrizione perché parla allo stesso modo di artisti diversi.
    Per esempio:
Così parla di Motherwell
Così parla di Tancredi Parmiggiani e di Cy Twombly
  • Se si conoscono le opere di questi artisti, è facile capire che le sue descrizioni non sono del tutto fuori luogo: molti elementi dei rispettivi stili sono abbastanza corretti (facile: li ha letti da qualche parte!) ma il suo tentativo di dar loro un senso è ridicolo, un po’ come accade per i critici umani, c’è da dire. Tipo “Opera vibrante e visivamente sorprendente” è verissimo nel caso di Tancredi, anche se è una spiegazione molto vaga. E parlando di Twombly: “forme organiche e simboliche che rappresentino l’uomo”. Cosa vuol dire? Assolutamente niente anche se è vero che in Twombly — per quanto sia astratto — sono spesso ravvisabili forme organiche.

Ok, faccio da solo

Dopo un po’ ho capito che il suo contributo creativo era pari allo zero. Non mi stava insomma suggerendo niente di particolarmente stimolante. Non che me l’aspettassi, intendiamoci. Volevo però essere stupito.

Ci siamo forse avvicinati a un dialogo un po’ più vivace quando gli ho chiesto come pensava che l’avrebbe ritratto Picasso e lui/esso (forse compiaciuto?) l’ha descritto per filo e per segno. Finché non gli ho fatto notare che non avrebbe potuto essere ritratto non avendo una testa.

Siccome però l’idea di disegnare/dipingere “alla maniera di” mi divertiva e avevo voglia di farlo, ho immaginato l’IA che vorrei, o mi sono chiesto come un uomo interpreterebbe il ruolo di IA. Che poi, a dirla tutta, è un processo mentale e persino creativo che facciamo fin dalla notte dei tempi: studiare qualcosa che non si sa fare, imparare decostruendo e provando per poi riproporlo con variazioni.

Per questo quelle che seguono sono le mie composizioni “ispirate a”: non copiano opere specifiche dei singoli artisti anche se sono abbastanza facilmente attribuibili ai medesimi. Lo scopo è quello di cercare di intuire un codice diverso: quello degli artisti. Non masticando tonnellate di terabyte di loro opere digitalizzate ma annusando le tracce che li hanno portati a usare una tecnica particolare, un determinato stile, un preciso tratto.

Martino Pietropoli x Tancredi Parmiggiani
Martino Pietropoli X Motherwell
Martino Pietropoli X Cy Twombly
Martino Pietropoli x Tinguely
Martino Pietropoli X Giuseppe Capogrossi

Concludendo

Il codice è alla base di tutto: sia che si tratti di una macchina o di un umano, è uno strumento per dare ordine al caos e per esprimersi. Riprodurre opere famose — ma lo stesso può valere anche per un testo letterario o una musica — serve a decifrarle o a intuire qual è il codice sorgente (tecnica, sensibilità, filosofia, come si vuol chiamare tutto ciò che caratterizza i singoli artisti).

Le opere astratte di grandi artisti possono sembrare casuali e caotiche, come se si trattasse di una delle innumerevoli e possibili configurazioni di segni su un foglio o una tela ma addentrarsi nella foresta mentale di un artista (che è poi quella che appare sulla superficie delle sue opere) significa intuire con più sicurezza perché ha deciso di tracciare così l’idea che aveva in testa, e usando poi proprio quella tecnica (anche cercare di capire quali strumenti siano stati usati, se matite o carboncini o inchiostri o olii ecc. è una cosa molto divertente e istruttiva).

Quelle presentate — nei limiti delle mie capacità — sono opere possibili di Motherwell, Klee, Tancredi ecc. Sono dei falsi? Sono delle furbate? Niente di tutto ciò, anche perché le ho create come tributo e soprattutto per dimostrare un punto, o per cercare di capire come possiamo parlare con le macchine, in maniera quanto meno fruttuosa.

Forse ho fatto le domande sbagliate, forse non so esprimermi bene in modo da ottenere dall’IA le risposte che mi aspetto o cerco ma, almeno per ora, l’IA non si è dimostrata molto utile nel darmi delle idee. E non è un caso: la sua è una mente compilativa, non creativa. E le idee, se non ce le hai, non le puoi creare in altro modo.

P.S. L’opera in copertina è mia, fatta con gli occhi pieni di questi artisti con cui mi sono intrattenuto durante questo esperimento e quindi — forse — li rappresenta un po’ tutti. O forse no. Di certo non lo chiedo a ChatGPT.

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Martino Pietropoli

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com