Il Salone mi ha sconfitto
Ma probabilmente ci andrò
Il Salone del Mobile 2022 è iniziato da qualche giorno e mi sento già stanchissimo. Non posso dire che mi abbia stufato — per quanto nella mia bolla non veda praticamente altro che quello — posso solo dire che me ne dichiaro sconfitto.
Andare al Salone è un dovere per chi è del settore e io — anche se immagino non sia facile o immediato dire che faccio parte proprio di questo settore (o anche, almeno) dato che faccio diverse altre cose, ma poi a chi gliene fregherà mai di cosa faccio io? — ho sempre sentito che, insomma, bisogna sforzarsi di andarci.
Negli anni la voglia è venuta sempre un po’ meno e poi la pandemia è stata quasi una liberazione:
Non si poteva più andare al Salone e non ci si poteva fare niente.
Non era un bene per chi di quello e con quello ci vive, lo so benissimo ma insomma: non credo di essere stato l’unico a saltare un giro con un certo sollievo.
Per meglio capire cosa è diventato il Salone per chi non ci è mai andato o l’ha sempre visto da fuori, la sua evoluzione può aiutare: ci andai la prima volta più di 25 anni fa. Funzionava ancora la vecchia Fiera e quindi la nuova fiera di Rho manco esisteva. Forse iniziava a esserci il Fuorisalone o almeno alcuni produttori esibivano solo nei loro showroom e poi c’era qualcosa di indipendente in giro. Forse il massimo del Fuorisalone che si concepisse era Brera, figurarsi Lambrate o Nolo o come diavolo si chiamano.
Quello che voglio dire è che era plausibile e realistico andare al Salone vedendo anche cosa c’era in Fiera perché c’era il tempo di farlo. Fare una cosa del genere — considerando anche che il Salone in Fiera è fuori Milano — oggi e da qualche anno è impossibile, a meno di dedicarci minimo 2/3 giorni.
Ci sono molti più designer, più produttori, più eventi, più tutto e soprattutto più anche di ciò che col Salone non c’entra niente. È tutto molto bello e ha allargato il pubblico a dismisura: i mitici addetti ai lavori come noi architetti sono diventati una riserva indiana, sicuramente — azzardo, ma credo di prenderci abbastanza — siamo meno del 10%. Questo significa che la massificazione di questo evento ha aumentato il numero di presenze ma ha anche svuotato di significato l’evento stesso per molte persone. Lo dico in quanto architetto e professionista, quindi è la mia opinione e impressione, sarà sbagliata, pazienza.
Personalmente ho sempre meno motivi di andarci perché ho l’impressione — per quante cose veda — di non vederne che una piccola parte. Ho sempre l’impressione di perdermi quello che magari mi interesserebbe davvero.
Ok: ci sono le guide, bisognerebbe fare un piano di battaglia prima, studiare una strategia, calcolare i tempi con Google Maps e pianificare anche le soste al bagno. Bisognerebbe insomma fare molta fatica e confesso che ne ho poca voglia.
A chi serve il Salone?
Per questo, e per circoscrivere meglio la questione, mi sono chiesto per chi il Salone è irrinunciabile, cioè a chi davvero interessa professionalmente il Salone.
Alle aziende: ovviamente.
Ai designer: altrettanto ovviamente.
Agli addetti del settore: media, blogger (esistono ancora?)
Agli artisti: che non c’entrano necessariamente col design ma oh, vuoi mettere che palcoscenico?
Ho lasciato volutamente fuori dall’elenco gli architetti, che sono pur sempre quelli che poi molti di questi prodotti li usano e li fanno comprare ai loro clienti.
Il Salone mi pare sempre più un evento dove ha senso andare solo se fai parte di una certa cerchia (della quale io evidentemente non faccio parte): quella di chi si conosce o nella quale si cerca di entrare, quella delle feste, quella delle occasioni che poi diventano collaborazioni, lavoro ecc.
Il Salone ha senso — come si diceva una volta —più per fare networking, molto meno per vedere che novità ci sono nel settore. Anche perché le novità le vediamo in rete, le conosciamo già da mesi, è più comodo vederle senza la ressa, senza il casino, senza il caldo.
A proposito: a chi è sembrata una buona idea farlo a giugno? Una porzione della poca voglia che ho di andarci è anche ascrivibile al pensiero che ne vedrei il 90% in condizioni pietose, pensando solo a una doccia ghiacciata e non di certo a quello che ho di fronte (giuro che sto guardando le foto di chi ci sta andando in questi giorni osservando se presentano segni di imminente collasso psicofisico da eccesso di caldo).
E dire che sono pure in una condizione privilegiata: posso anche dormire a Milano senza avere la percezione (che è realtà, poi) di essere rapinato da albergatori e host AirBnb con tariffe più alte del doppio o del triplo (sono generosissimo, lo so è che i rincari sono MOLTO più alti). Ho dove dormire a gratis, la fortuna ogni tanto mi assiste.
Insomma: non avrei un buon numero di disagi del visitatore medio del Salone, vessato da tariffe allucinanti e costretto a ritmi infernali per vedere solo una parte del tutto. Eppure, forse proprio per questo, mi permetto di fare il sofisticato chiedendomi se ne vale veramente la pena. Cioè, diciamocelo: in questi tempi di materialismo neanche scalfito da una pandemia globale e anzi, tonificato e tornato a vendicarsi, mi chiedo:
ha senso che vada al Salone?
Devo innanzitutto isolare questa domanda e le risposte che si porta dietro da questo senso di stanchezza che mi attanaglia al solo pensarci.
Forse la risposta del pragmatismo meneghino sarebbe “Ma allora restatene a casa se devi menarla così” e avrebbe ragione.
E allora riformulo la domanda: non “ha senso che io vada al Salone?” ma:
Che senso ha il Salone, oggi?
Forse per scoprirlo dovrei andarci. Chissà se ne ho voglia.