Milano, fermati un attimo

Questa è una lettera d’amore per Milano

Martino Pietropoli
6 min readMar 2, 2020
Pirellone — Le foto le ho fatte io

Come in molte relazioni, all’inizio io e Milano non ci amavamo molto. Forse è il caso di dire che io non l’amavo e lei, giustamente, ignorava la mia esistenza.
Non la trovavo né bella né particolarmente interessante. Parliamo di qualche decennio fa, quando la Milano di oggi non era nemmeno pensabile.

Ho imparato ad amarla — o ad apprezzarla, diciamo — solo nell’ultimo decennio. Per i mille motivi che tutti conoscono e che vengono ricordati incessantemente. A Milano c’è tutto, tutto funziona, Milano ha tutto. Milano è stata ed è oggetto di un marketing martellante per molti versi spontaneo che funziona e ha prodotto risultati tangibili e, per molti, benefici.

Per ottenere risultati bisogna credere in quel che si fa, e Milano ha dimostrato di saperci credere e di ottenerne, molteplici.

In virtù di questo affetto che ho per lei — e anche perché so bene quanto i destini di molte persone che ci lavorano, magari non direttamente, le sono legati — mi sono chiesto se ultimamente questa potentissima agiografia meneghina non fosse un po’ esagerata. Sarà che amo una certa discrezione e un certo riserbo, ma alla fine chi si loda sempre mi fa sospettare che nasconda insicurezza più che consapevolezza.

Però ti amo Milano, quindi non te l’ho detto. Ho pensato che meritassi di lodarti e me ne sono stato zitto, anche perché qualsiasi mia osservazione poteva essere comprensibilmente ricevuta da te con disinteresse. E ci sta.

Finché non ho visto un video, quello di #milanononsiferma.

In questi giorni di crisi e panico per la diffusione del corona virus è circolato e si è diffuso in forma virale (è davvero, purtroppo in questo frangente, il caso di dirlo) un video che aveva lo scopo di rassicurare il mondo sul fatto che, epidemia o meno, Milano non si fermava.

Non ho commentato nel mentre perché non mi pareva il caso né il tempo giusto, ma quel video è sbagliato per molti versi. Nel suo goffo tentativo di rassicurare il mondo intero finisce per assomigliare a Jack Blues che nei Blues Brothers rassicura il fratello Elwood che la sua ex che sta tentando di eliminarli fisicamente da giorni e giorni è sotto controllo, che non c’è niente di che preoccuparsi. Quelle immagini che di milanese hanno molto poco se non per le ambientazioni, popolate di gente sorridente, bianca, industriosa e sportiva parevano più consone a un video motivazionale o alla clip che si infila nell’incartamento per partecipare ai prossimi giochi olimpici. Non sbagliate in sé ma nel contesto sbagliatissime. Forse la risposta più adeguata sarebbe stata quella di non produrre proprio nessun video e di continuare a fare quello che Milano sa fare benissimo da decenni: lavorare, produrre, “deliverare” come sono certo che tanti dicono a Milano. Avere uno scopo e adoprarsi a perseguirlo.

Invece questo video ottiene due effetti opposti: mostra una vita artificialmente fiduciosa e ottimista e rassicura in maniera molto poco convincente, tradendo un’inquietudine molto mal dissimulata.

Fondazione Feltrinelli, Herzon&De Meuron

Di cosa ha realmente paura Milano? Di smettere di essere attraente, che l’economia si blocchi improvvisamente. Milano – sembra dire quel video – ha paura di smettere improvvisamente di fatturare. E se da un lato questo è il sottotesto che chiunque frequenti Milano ha colto, vederlo rappresentato così candidamente in un video fa un certo effetto.

Ci sono cose che si sanno e che è meglio non dire. O almeno non è opportuno, specie in un contesto storico in cui il fare soldi, per un po’ almeno, potrebbe essere lasciato da parte.

Se potevo avere qualche dubbio residuo, me l’ha tolto involontariamente il sindaco Beppe Sala che, annunciando il rinvio del Salone del Mobile, ha dedicato la coda del suo messaggio agli albergatori: “Vi chiedo rispetto al prezzo delle camere di dare una mano anche voi”. Un avvertimento rispetto a ciò che è noto anche ai sassi, e cioè che durante la Design Week gli alberghi applicano dei prezzi ingiustificati.

Forse sono idealista ma ho colto nelle parole del sindaco Sala un invito — per una volta, per questa dannata emergenza — a non speculare per raccogliere un profitto che fa sembrare follemente rapace la città durante quella settimana così importante.

Verso dove stiamo andando?

Via Giacomo Watt

Milano è una città economicamente, culturalmente e socialmente così importante che ignorarla sarebbe stupido, specie per intuire gli sviluppi futuri dell’Italia. Milano è di gran lunga la città più importante d’Italia e una delle più importanti in Europa e al mondo. Ogni mappa della ricchezza, della creatività, del dibattito politico e sociale che abbia un minimo di profondità e completezza non può ignorarla.

Per questo è a Milano che bisogna guardare per capire dove stiamo andando. O almeno dove *anche* stiamo andando.

Stiamo andando – e forse già ci siamo immersi – verso l’adesione a un modello di società che ha come unico criterio di misurazione del senso della vita quello del denaro. Se produci e guadagni, sei. Se ti puoi permettere questo o quello perché hai lavorato e guadagnato, allora esisti.

Intanto il panico di queste settimane è mutato repentinamente da sanitario a economico. Questa crisi ha esposto i valori su cui si fonda questa società. Viviamo in una società fondamentalmente economica. O economicizzata, verrebbe da dire.

Capita vagamente l’entità del problema sanitario ci siamo guardati tutti negli occhi e abbiamo pensato “Oddio, e l’economia adesso?”.

Il modello che abbiamo costruito nella storia moderna — e che ha moltissimi pregi, intendiamoci — ha mostrato improvvisamente i suoi limiti: è autoreferenziale, è autogiustificante, è autoassertivo: viviamo per sostenere un modello di società che non è uno strumento per un fine superiore ma è un fine in sé stesso.

Senza darne una lettura morale, è davvero un modello interessante, moderno, efficiente, benigno? Iniziamo a vederla più da questo punto di vista: è benigno?

Va davvero bene così? Non è miope, obsoleto, dannoso alla fine? È il migliore, forse, per ora.
Questi sono i valori che abbiamo inconsapevolmente esposto in questi giorni. Le emergenze quello mettono in luce: le priorità.

Milano incarna ed esprime alla perfezione questo modello. Ne è la sua rappresentazione plastica: efficienza spinta all’estremo, ricerca del profitto, creatività al servizio del capitale. Generalizzo, me lo si conceda, ma non credo di sbagliare nell’individuare uno schema preciso: la creatività senza fine se non quello di esprimere un bisogno o una visione è stata messa al servizio della necessità di produrre capitale. Per certi versi (economici) questo ha senso. Per altri si è persa la genuinità di molte espressioni artistiche e anarchiche che diventano interessanti per la società solo quando dimostrano di poter generare capitale. E se in una fase iniziale questo atteggiamento è logico perché fornisce carburante (monetario) per alimentare altra creatività, a un certo punto diventa solo un altro modo per fare produrre soldi alla creatività, scambiando il mezzo con il fine.

Di Milano si loda giustamente l’incrollabile energia, la capacità di ripensarsi e rinnovarsi. È tranquillizzante pensare che anche in questa difficile fase succederà la stessa cosa: ne uscirà, magari più forte di prima. Ma questa non è una crisi economica consueta e non si situa nella ciclicità del monopoli finanziario-capitalista come una carta qualsiasi degli imprevisti. Questa crisi è una serie di dadi sbagliati uno di fila all’altro, è una tempesta perfetta. Forse dovrebbe invitare a fermarsi a riflettere, a smettere di correre e a chiedersi

dove stiamo andando, davvero?

The Mall

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Martino Pietropoli
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Written by Martino Pietropoli

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com

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