Musica Classica Americana

Una riflessione su “Rapsodia in Blue” e su South Park

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“Rapsodia in Blu“ di Gershwin è una delle composizioni più belle e perfette della storia della musica.

Inizio così, perché una cosa che ho visto oggi e un duplice ascolto della medesima mi hanno fatto mettere insieme i concetti, o mi ha dato una spiegazione possibile: perché è così bella e perfetta? Innanzitutto perché è musicalmente magnifica: ha una complessità melodica di rara purezza e un montaggio imprevedibile e instancabile. È sia jazz che classica, è incongruente e caotica, è precisa e implacabile, è grandiosa e spavalda. È l’idea di un’America possibile, anzi: è l’America Possibile.

Gershwin la compose su commissione nel 1924, per un concerto che avrebbe dovuto mostrare lo stato dell’arte della composizione musicale americana. Lo fece a modo suo: fondendo il jazz al linguaggio classico, nel tentativo da lui sempre perseguito di fondare la Musica Classica Americana. Per farlo aveva a disposizione pochissime settimane.

Raccontò al suo biografo che l’idea centrale gli venne in treno per Boston: il ritmo regolare della meccanica e la furia dei tempi moderni infusero lo spirito in questa musica che raccoglie tantissimi stati d’animo: dallo svagato ed elegante inizio solista del clarinetto (un’invenzione del clarinettista che la eseguì alla prima, che “trascinò” in un glissando le note del monologo di Gershwin, cosa che gli piacque molto, tanto da chiedergli di rifarla alla prima), alle riflessioni a volte pacate e altre volte focose e nevrotiche del piano solista, fino ai respiri grandiosi dell’orchestra.

La cosa più moderna e avanguardistica di questa composizione (non a caso completamente fraintesa da quasi tutti i critici dell’epoca) è la sua struttura imprevedibile e poco classica. Per molti versi i momenti da cui è composta non si susseguono con logica ma sono montati in modo caotico. Io preferisco dire che sono montati in modo contemporaneo e aperto. Non a caso il solito ottimo Leonard Bernstein ne notava proprio questa particolarità (ovviamente amandola): diceva che la Rapsodia la puoi allungare o accorciare, la puoi tagliare a pezzi, la puoi smontare e rimontare al contrario (una cosa che fa impazzire i puristi della classica, comprensibilmente) ma alla fine resta sempre la Rapsodia.

Cosa c’entra questa musica con la cosa che visto oggi? Si tratta innanzitutto di un frammento di una conferenza di Trey Parker e Matt Stone, i creatori di South Park, cioè una cosa decisamente distante da Rapsodia in Blu. Cosa dicevano? Dicevano che se una storia la racconti usando “and then” (cioè “accade una cosa e poi ne accade un’altra”) la stai raccontando male. Se invece usi “but” e “therefore” (“ma” e “quindi”, di conseguenza) lo stai facendo bene. Una buona storia — o meglio, una storia raccontata bene — si compone di parti che si susseguono in modo imprevedibile facendone germogliare altre ancora, non di frammenti arrangiati in modo lineare.

La Rapsodia in Blue è composta per “but” e “therefore” e mai con “and then”. Non c’è mai quello che ti aspetti dopo, anche se il suo tema ti accompagna dall’inizio alla fine. La voce con cui si fa sentire il tema (la musica, insomma) non è mai consecutivo ma consequenziale, e consequenziali possono essere anche parti che si contraddicono fra di loro, o coppie di elementi in contrasto fra di loro ma in accordo con un terzo.

Come sempre, spiegare una musica è infinitamente più difficile e inutile che ascoltarla. E ascoltare Rapsodia in Blu è sempre cosa buona.

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Martino Pietropoli

Architect, photographer, illustrator, writer. L’Indice Totale, The Fluxus and I Love Podcasts, co-founder @ RunLovers | -> http://www.martinopietropoli.com